BANCAROTTA? NO, GRAZIE!

Lug 22, 2020

La resilienza del buon imprenditore alla fine premia, se supportata da una difesa mirata ed efficace.

La vicenda seguita dallo Studio Legale dell’Avvocato Annalisa Tironi trae le sue origini dalla contestazione dei reati di bancarotta fraudolenta documentale e semplice (artt. 216, co. 1 n. 2 e 217, co. 1 n. 4 ) al Presidente ed al Vice Presidente di un’azienda del modenese.

In particolare, a parere degli inquirenti, la prima figura di reato contestata consisteva nell’aver tenuto il registro dei beni ammortizzabili in modo tale da rendere impossibile la ricostruzione dei beni della società fallita; la bancarotta semplice, invero, secondo la tesi accusatoria, consisteva nell’aver aggravato il dissesto societario, astenendosi dal richiedere per tempo la dichiarazione di fallimento della società, nonostante la medesima, già da tempo, versasse in grave stato di difficoltà.

La Difesa ha rilevato (avvalendosi di un Consulente tecnico dalla stessa nominato) che, per quanto riguarda il registro dei beni ammortizzabili, esso non appartiene all’elenco delle scritture contabili obbligatorie ai sensi dell’art. 2214 c.c., per cui la mancanza o mal tenuta dello stesso non può rappresentare elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta; ad ogni qual modo, la Difesa ha documentato come fosse stato possibile ricostruire l’andamento economico della società ed, attraverso le schede contabili della società, la consistenza patrimoniale della stessa.

In ordine al secondo punto del capo d’imputazione, la Difesa ha rilevato, anche attraverso l’interrogatorio del Presidente del Cda, attraverso l’escussione, ad indagini difensive, della responsabile amministrativa dell’azienda e del precedente legale che curava gli aspetti civilistici della società ed attraverso numerose produzioni documentali, come il “grave stato di difficoltà” in cui versava l’Azienda all’epoca incriminata, non coincidesse con un vero e proprio stato d’insolvenza, cui avrebbe dovuto far seguito l’istanza di fallimento.

Tanto emergeva dall’esame delle scritture contabili, che permetteva di posticipare, rispetto all’imputazione, in epoca assolutamente prossima all’istanza di fallimento lo stato di decozione della società.

A medesima conclusione la Difesa giungeva documentando come l’azienda poi fallita vantasse, nel periodo in cui, secondo il PM, sarebbe stata in grave difficoltà, un cospicuo portafoglio clienti ed avesse attuato precise scelte societarie per risollevare il proprio andamento; altresì, la Difesa provava come l’inesigibilità dei crediti non fosse nota al Presidente ed al Vice Presidente al momento della loro iscrizione e come gli stessi avessero cercato, anche per il tramite di garanzie personali, di ottenere dei finanziamenti per la società.

Il consulente di parte, poi, escludeva che la prosecuzione dell’attività avesse aggravato il dissesto, dimostrando invero come avesse comportato dei benefici in termini di riduzione del passivo totale della società fallita.

All’Udienza Preliminare la Difesa sceglieva di celebrare il processo con il rito abbreviato ed il Giudice accoglieva in toto la tesi difensiva, pronunciando assoluzione con formula piena “perché il fatto non sussiste”.