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Risolvi Dubbi e Curiosità

La Polizia ha redatto un verbale di identificazione e di elezione di domicilio a mio carico. Cosa significa e cosa devo fare?

Il c.d. verbale di identificazione è, solitamente, il primo atto con cui una persona scopre di avere un procedimento penale a proprio carico.
Può essere redatto dalla Polizia, dai Carabinieri o dalla Guardia di Finanza quando ritengono loro stessi di essere di fronte all’autore di un reato o quando una persona è stata destinataria di una denuncia querela da parte di qualcun altro.
Con il verbale di identificazione, vengono acquisite le generalità della persona nei confronti della quale vengono svolte le indagini e la stessa viene invitata ad eleggere domicilio, per eventuali future notificazioni relative al procedimento, nonché a nominare un avvocato di propria fiducia.
Nessun problema se la persona non ha alcun avvocato da indicare, in quanto, in tal caso, le viene comunque assegnato un avvocato (d’ufficio), che potrà sempre essere revocato e sostituito con un altro di propria fiducia.
E’ importante che chi riceve un verbale di identificazione contatti subito l’avvocato, in modo da esporgli quanto accaduto e valutare insieme come procedere.

Nella maggior parte dei casi, tra il verbale di identificazione ed un successivo atto penale intercorre un periodo di tempo lungo, che consente di organizzare la propria difesa al meglio.

Mi è stato notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari. Che cosa significa e cosa devo fare?

L’avviso di conclusione delle indagini preliminari è un primo atto con cui il PM decide di esercitare l’azione penale.
L’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p. contiene, infatti, una sommaria enunciazione del fatto addebitato alla persona sottoposta ad indagini (non ancora imputato), la data ed il luogo del fatto-reato, le norme di legge che si assumono violate ed una serie di avvertimenti, fra i quali la possibilità per l’indagato di prendere visione del fascicolo contenente i risultati dell’indagine svolta ed, entro 20 giorni dalla notifica, presentare memorie difensive e/o documenti, di chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio o avanzare istanza al Pubblico Ministero affinchè svolga ulteriori atti di indagine.
L’avviso di conclusione delle indagini preliminari è, pertanto, molto importante, in quanto consente di visionare il fascicolo dell’accusa, rendendosi così conto degli indizi a proprio carico e soprattutto, permette di iniziare a difendersi, producendo documentazione a proprio favore, ad esempio, o chiedendo di poter rendere interrogatorio, mirando così ad ottenere, già in tale fase, l’archiviazione del procedimento penale.
A fronte del breve termine di 20 giorni, previsto dalla norma, è fondamentale che chiunque riceva un avviso di conclusione delle indagini preliminari contatti immediatamente l’avvocato di ufficio (ivi indicato) o altro avvocato di propria fiducia, in modo da concordare insieme quale sia la migliore strategia difensiva.

Mi è stata ritirata la patente per guida in stato di ebbrezza, cosa devo fare?

Intanto, bisogna considerare l’accaduto sotto due punti di vista. La guida in stato di ebbrezza comporta la sospensione della patente per un tempo che verrà stabilito dal Prefetto in un decreto, che verrà notificato a chi si sia reso responsabile di tale condotta. Se sussistono validi motivi, si può presentare opposizione avverso tale decreto, solitamente avanti al Giudice di Pace, entro i termini previsti dalla Legge. Si apre quindi un procedimento amministrativo relativo alla sospensione della patente. Contestualmente, inizia, nei confronti di chi è stato trovato a guidare in stato di ebbrezza, un procedimento penale, nell’ambito del quale è obbligatorio difendersi, per mezzo di un difensore.
E’ importante sapere che il Codice della Strada prevede, salvi i casi in cui il conducente in stato di ebbrezza provochi un incidente stradale, la possibilità di sostituire la pena detentiva o pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità.
Lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità comporta la dichiarazione di estinzione del reato, la riduzione a metà del tempo di sospensione della patente e la revoca della confisca del veicolo sequestrato (nel caso in cui sia stata disposta la confisca dello stesso).
Il consiglio, quindi, per chi incorre nella guida in stato di ebbrezza, è di rivolgersi quanto prima all’avvocato di ufficio o di fiducia, in modo da definire nel miglior dei modi il procedimento penale ed ottenere la patente nel minor tempo possibile.

Sono stato querelato: sono obbligato a difendermi e ad avere un avvocato?

Si, la difesa penale è obbligatoria. Nel caso in cui l’indagato non nomini un difensore di fiducia, è prevista la nomina di un difensore di ufficio. Anche qualora l’imputato sia processualmente assente o irreperibile, l’avvocato è obbligato a prestare la propria assistenza (salvo rinuncia nel caso di nomina di fiducia).

Qual è la differenza tra avvocato d’ufficio e avvocato di fiducia?

Innanzitutto è bene specificare che l’avvocato di ufficio e quello di fiducia hanno le medesime competenze, nonché gli stessi poteri e doveri. La differenza consiste nella nomina e nel rapporto fiduciario intercorrente.

L’avvocato di fiducia è quello nominato dall’interessato, mentre l’avvocato di ufficio è quello nominato dal Giudice, dal Pubblico Ministero o dalla Polizia Giudiziaria quando l’indagato o l’imputato non ha un difensore di fiducia o ne è rimasto privo. L’avvocato di ufficio può sempre essere nominato di fiducia dall’assistito.

Sia l’avvocato d’ufficio che quello di fiducia devono essere retribuiti dall’assistito, a meno che questi non abbia presentato domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e questa abbia trovato accoglimento.

L’Avvocato Annalisa Tironi può esercitare sia come Avvocato di fiducia che di ufficio, essendo iscritta nelle apposite liste.

Posso avere il gratuito patrocinio?

Il c.d. gratuito patrocinio (patrocinio a spese dello stato) può essere richiesto dall’interessato che abbia un reddito imponibile– derivante dall’ultima dichiarazione dei redditi – non superiore a 12.838,01 €  (così innovato dal Decreto Ministeriale 130/2023). Se l’interessato convive con il coniuge o altri familiari, il reddito dello stesso si calcola sommando i redditi dei familiari conviventi (in questo caso, il limite dei 12.838,01 € è maggiorato di 1.032,91 € per ogni familiare convivente). I documenti utili per richiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sono: copia del documento d’identità e del codice fiscale, ultima dichiarazione dei redditi o certificato ISEE in corso di validità, ovvero estratto contro previdenziale INPS, certificato di residenza e stato di famiglia, e –per i soli cittadini stranieri– dichiarazione del Consolato del Paese d’origine relativa all’assenza o meno di redditi prodotti all’estero. L’avvocato che assiste una persona ammessa al gratuito patrocinio deve essere iscritto nell’apposita lista dei difensori.

E’ importante sapere che può essere richiesto (ed ottenuto) il patrocinio a spese dello stato, senza alcuna valutazione sul reddito, per le vittime di alcuni reati di violenza quali, tra gli altri, lo stalking, la violenza sessuale ed i maltrattamenti in famiglia (art. 76, comma 4ter, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115).

L’Avvocato Annalisa Tironi è compresa nelle liste dei difensori abilitati al patrocinio a spese dello Stato.

Sono stato citato a comparire quale testimone in un processo penale, sono obbligato a presentarmi?

Si, l’art. 198 c.p.p. prevede che il testimone ha l’obbligo di presentarsi al Giudice e di rispondere secondo verità alle domande che gli vengono rivolte.

Hanno la facoltà di non rispondere solo i testimoni che siano prossimi congiunti dell’imputato, ovvero –rispetto all’imputato – i genitori, i figli, il coniuge o persona legata da unione civile tra persone dello stesso sesso, le sorelle o i fratelli, gli zii, i nipoti o il suocero, il genero, la suocera, la nuora.

Lo stato di prossimo congiunto è efficace anche in caso di adozione.

Può non rispondere, limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante il periodo di convivenza, anche il convivente (o ex convivente), il coniuge separato o divorziato o la persona che abbia contratto unione civile, poi cessata, con l’imputato.

Il testimone che dichiari il falso può essere indagato per il reato di falsa testimonianza.

Il testimone che non si presenti avanti al Giudice allorquando sia citato, senza addurre alcun legittimo impedimento, può essere accompagnato coattivamente all’udienza dalle Forze dell’Ordine e può essere condannato a pagare una somma da € 51 ad €516 a favore della cassa delle ammende (art. 133 c.p.p.).

Il Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pubblicato sulla G.U. n. 139 Suppl. Ord. del 15/06/2002), agli artt. 45-48, prevede il diritto per i testimoni ad ottenere un’indennità.

Gli interessati devono presentare la domanda di indennità, entro cento giorni dalla data della testimonianza, all’autorità presso cui sono stati chiamati a testimoniare.

Cosa devo fare per ottenere un colloquio con una persona detenuta in carcere?

Per poter accedere al carcere ed ottenere un colloquio con persona in stato di detenzione è necessaria un’autorizzazione che può essere concessa:

  • dal Giudice procedente, se ancora non è stata emessa sentenza di primo grado;
  • dal Direttore della struttura penitenziaria, dopo la sentenza di primo grado.

Possono far visita al detenuto i familiari, intendendosi a tal fine: il coniuge, il convivente, i parenti e gli affini entro il quarto grado.

La richiesta di permesso è gratuita ed effettuata su carta libera; alla stessa, oltre al documento di identità o permesso di soggiorno per gli stranieri, è opportuno allegare la certificazione o l’autocertificazione da cui risulta l’esistenza del rapporto di parentela o di convivenza.

Si ricorda, a tal proposito, che la falsa dichiarazione è un reato.

Tutte le altre persone devono dimostrare la sussistenza di ragionevoli motivi per poter incontrare la persona detenuta.

Sono stato assolto, posso chiedere il rimborso delle spese legali?

La legge di bilancio anno 2021 (legge n. 178/2020) ha istituito un Fondo per il rimborso delle spese legali agli imputati assolti con sentenza divenuta irrevocabile dalla data del 1° gennaio 2021, in poi. Possono accedere a tale fondo i destinatari di una sentenza di assoluzione definitiva pronunciata: “perché il fatto non sussiste”, “perché non ha commesso il fatto”, “perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato” (escluso il caso in cui quest’ultima pronuncia sia intervenuta a seguito della depenalizzazione dei fatti oggetto dell’imputazione). Invece, non possono accedervi, coloro che, pur essendo stati assolti per alcuni capi di imputazione, siano stati però condannati per altri, coloro per i quali sia stata emessa sentenza di estinzione del reato per prescrizione o amnistia, coloro che abbiano beneficiato nel medesimo procedimento del patrocinio a spese dello Stato, coloro che abbiano ottenuto la condanna del querelante alla rifusione delle spese di lite o che abbiano diritto al rimborso delle spese legali dall’ente da cui dipendono.

Il rimborso è riconosciuto nel limite massimo di 10.500,00 euro, ed è liquidato in unica soluzione entro l’anno successivo a quello in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.

La domanda si presenta tramite apposita piattaforma telematica accessibile dal sito giustizia.it, accedendo tramite SPID.

L’Avvocato Annalisa Tironi è disponibile per maggiori chiarimenti.

Cosa posso fare se sono stato processato per un fatto che è stato depenalizzato?

Può capitare di trovarsi di fronte a capi di imputazione per fatti che non costituiscono più reato, perché depenalizzati.

Ad esempio, l’ingiuria non costituisce più reato.

In questi casi, quando il processo è ancora pendente, l’Avvocato chiederà al Giudice l’emissione di una sentenza di non doversi procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

L’imputato verrà quindi prosciolto e sul suo casellario giudiziale (la c.d. fedina penale) non rimarrà traccia del fatto che gli veniva contestato.

Qualora, invece, il procedimento sia già stato definito con una sentenza di condanna o con un decreto penale irrevocabili, l’avvocato potrà avanzare un’istanza al Giudice competente, in funzione di Giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 665 c.p.p., il quale provvederà a revocare il provvedimento adottato, dichiarando che il fatto non è previsto dalla legge come reato.

In questo caso, nel casellario giudiziale verrà aggiunta accanto alla sentenza di condanna o al decreto penale la dicitura “reato estinto”.

È quindi altamente consigliabile rivolgersi all’avvocato nel caso in cui si voglia “cancellare” una vecchia condanna, al fine di appurare se si possa avanzare l’istanza suindicata o una similare.

Il patteggiamento è un’ammissione di colpa?

Formalmente non viene fatta nessuna ammissione di colpa. Il c.d. patteggiamento (applicazione pena su richiesta delle parti -art. 444 c.p.p. –) consiste in un rito alternativo al procedimento ordinario, che può essere scelto dall’imputato (entro i limiti processuali stabiliti dalla legge) per beneficiare, in particolare, di una riduzione della pena fino ad 1/3 e di una definizione del procedimento in tempi rapidi.

Qual' è la differenza tra il patteggiamento e l’abbreviato?

Sia il c.d. patteggiamento (applicazione della pena su richiesta delle parti) che il rito abbreviato sono riti alternativi al procedimento ordinario, che possono essere richiesti dall’imputato al Giudice (entro i termini processuali previsti dalla legge). Il patteggiamento consiste nel richiedere al Giudice l’applicazione di una pena, concordata con il Pubblico Ministero, che viene ottenuta tramite un calcolo matematico, tenuto conto di tutti gli elementi della vicenda (es. circostanze attenuanti, circostanze aggravanti, recidiva, continuazione tra i reati, ecc..), al fine di contenere la pena il più possibile e ridurla, per la scelta del rito, fino ad un terzo. Il rito abbreviato consiste invece in un rito più contenuto rispetto a quello ordinario, perché non prevede la fase dibattimentale (quindi l’acquisizione di prove nel contradditorio tra le parti – es. testimoni –) (se non nel caso del c.d. abbreviato condizionato o nel caso di integrazione probatoria disposta dal Giudice). Il Giudice pertanto deciderà, principalmente, sulla base degli elementi contenuti nel fascicolo del P.M. e nei fascicoli – eventuali – dei difensori. La scelta del rito abbreviato comporta, in particolare, la riduzione della pena della metà in caso di contravvenzione e di 1/3 se si tratta di delitto, nonchè la definizione del procedimento in tempi rapidi.

Che cos’è la prescrizione del reato?

La prescrizione del reato consiste nell’estinzione del reato per il trascorrere di un determinato periodo di tempo (il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione). Il tempo necessario a prescrivere può essere sospeso o interrotto nei casi previsti dalla legge. L’interruzione della prescrizione comporta l’aumento di un quarto del tempo necessario a prescrivere, salvo i casi di cui all’art. 161 c.p.

Posso usufruire della sospensione condizionale della pena?

La sospensione condizionale della pena è un beneficio che può essere concesso dal Giudice, entro i limiti previsti dalla legge, in caso di condanna alla reclusione o all’arresto per un tempo non superiore a due anni o a pena pecuniaria, sola o congiunta a pena detentiva che, ragguagliata, non comporti la privazione della libertà per un tempo superiore a due anni. Altresì’, può essere sospesa la pena detentiva quando, la pena detentiva non supera i due anni, anche se la pena pecuniaria congiunta e ragguagliata comporta il superamento dei due anni. La concessione della sospensione condizionale della pena comporta che l’esecuzione della pena stessa rimane sospesa per cinque anni se la condanna è per delitto e per due anni se la condanna è per contravvenzione. La pena rimane sospesa per 1 anno, nei casi di cui all’art. 163 c.4 c.p. Trascorso tale periodo di tempo senza che il condannato commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole, il reato è estinto e non avrà luogo l’esecuzione della pena. La sospensione condizionale della pena non può essere concessa più di una volta, a meno che il cumulo tra la pena già irrogata e sospesa e la nuova pena da infliggersi con una successiva condanna non sia comunque superiore a due anni.

Per i minori degli anni 18, la pena restrittiva che rileva al fine di ottenere la sospensione condizionale è di 3 anni.
Tra i 18 e 21 anni o dai 70 anni in poi, è di 2 anni e 6 mesi.